Classi difficili o momenti difficili? I bisogni individuali nella gestione della classe

Ci sono classi più complicate di altre.

Il mio ideale di classe è quella in cui entro e riesco a fare lezione. Loro accettano di lasciarsi coinvolgere nelle attività che propongo, dapprima forse con esitazione, poi con concentrazione sul compito. Velocemente mi è chiaro il modo in cui interagire col gruppo per lavorare bene, svolgo il programma previsto, ottengo sufficiente attenzione, loro fanno domande, forse qualcuna polemica ma familiare, c’è qualche rumore sul fondo che però non distrae chi ascolta e che si cheta velocemente se intervengo. Insomma, tutto funziona.

Di tanto in tanto però trovo una classe che disfa il mio saper fare. Le mie consolidate routine funzionano solo minimamente. Il mio modo di spiegare trova sguardi distratti. Invece del silenzio e dell’ascolto trovo rumore, un parlottare che non finisce nonostante i miei interventi. Mai.
Ma perché? Che c’è di diverso? Contenuti, metodologie, tecniche sono gli stessi. Cosa cambia?

Pensi che io stia parlando di bambini o di ragazzi?
No. Parlo di adulti. Di insegnanti. Di partecipanti ai miei corsi di formazione.

Mi occupo di formazione di insegnanti dal 1995. Da allora ho incrociato sulla mia strada qualche migliaio tra insegnanti della primaria, della secondaria di primo e secondo grado. Anche di scuola dell’infanzia, pochi, ma ci sono stati. Li ho incontrati quasi sempre in gruppi medio-grandi, da 15 a 100 persone finora. E nell’80% dei casi sono riuscita a fare bene quello che il committente (dirigente, USR, Università) mi aveva chiesto, cioè favorire massimamente le opportunità di apprendimento e crescita professionale del gruppo su vari contenuti (es. cooperative learning, competenze di cittadinanza attiva, metodologie didattiche attive, dinamiche di classe, ecc.).
Non nego quel 20% di risultato che ho portato a casa molto molto faticosamente.
La fatica e il senso di frustrazione a volte accompagna il lavoro educativo.

Scuola o arena? La difficoltà di gestire la classe

C’è qualcosa che accomuna me, formatrice di professionisti, a te, caro insegnante. Qualcosa che ci lega indissolubilmente.
Entrambi lavoriamo in un’arena.
Il luogo dove incontriamo gruppi che a volte sono solo una massa disordinata, un insieme di individui che a malapena condividono lo spazio fisico dell’aula.
O che trovano il loro senso nel coalizzarsi contro un nemico. Chi è in cattedra. Spesso sono persone che si trovano di fronte a noi senza averlo scelto. Ti sembra un ambiente familiare?
Eppure, spetta a noi educatori trarre il meglio da loro.

Tornando ai miei corsisti, penso sia importante fornire alcune informazioni di contesto. Faccio formazione durante l’intero anno scolastico e da sempre la tarda primavera (aprile-maggio) è per gli insegnanti un periodo di aggiornamento dai ritmi vertiginosi. In quei mesi, incontro decine di gruppi subissati da molteplici impegni, costretti a correre in modo forsennato dalla loro classe ad un ricevimento genitori, ad un collegio docenti, all’aula di formazione, dove trovano me.
In uno scenario simile, anche l’insegnante più motivato ha un compito su tutti: arrivare vivo alla fine dell’anno scolastico. E incontrare una creatura focalizzata sulla sopravvivenza come bisogno primario è davvero una sfida per un formatore. Come mettersi in relazione con lui in modo che si coinvolga, mi rispetti e impari qualcosa?
È fondamentale ricordare che alla base di ogni comportamento ci sono dei bisogni individuali, a volte consapevoli, a volte no.
Tu che idea ti sei fatto dei bisogni dei tuoi alunni?
Confesso che io a volte li trascuro… e pago quasi sempre il conto! Forse capita anche a te.

Alcuni bisogni individuali da tenere presenti per governare il gruppo classe

Secondo la teoria dell’analisi transazionale, la motivazione individuale è legata alla soddisfazione di tre fami. Eric Berne nell’introduzione di “Games People Play” (1964) parla di tre bisogni fondamentali per la salute psicofisica umana, che spingono le persone ad entrare in relazione le une con le altre, guidandole nella strutturazione dei rapporti sociali:

1. Fame di stimolo

Gli individui, sin dai primi giorni di vita, avvertono il bisogno primario di stimolazioni. “Dal punto di vista biologico, è probabile che la privazione emotiva e sensoria tenda ad instaurare o almeno a favorire dei mutamenti organici. (…) Si può dunque postulare l’esistenza di una catena biologica che va dalla privazione emotiva e sensoria all’apatia e di qui alle modifiche generative e alla morte. In questo senso la fame di stimolo ha con la sopravvivenza dell’organismo umano lo stesso rapporto della fame di cibo.” (Berne 1964, 14).
Ciò ha a che fare con la varietà, il movimento, la spinta intellettuale, emotiva e corporea che possono trovarsi o meno nella lezione.
Ci sono classi che hanno fame di stimolo molto più di altre. e riconoscerle in tempo utile è fondamentale così come in ogni gruppo ci sono differenze individuali legate a questo aspetto.

2. Fame di riconoscimento

La fame di stimolo infantile subisce una sorta di processo di sublimazione nel tempo e nell’individuo adulto si trasforma in fame di riconoscimento sociale: gli esseri umani, per salvaguardare la loro salute fisica e mentale, hanno bisogno di essere riconosciuti dagli altri. Berne utilizza il termine carezza (stroke), per estensione, per designare “ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un’altra persona” (Berne 1964, 16). Di questo riparleremo in un apposito post.
Comincio qua col dire che spesso il comportamento disfunzionale rispetto alla esigenza del docente di svolgere il programma, costituisce il modo migliore che alcuni alunni hanno trovato per ottenere soddisfazione a questo bisogno: carezze negative, cioè rimproveri, sono nutrienti tanto quanto carezze positive, cioè sorrisi o complimenti.

3. Fame di struttura

con la nozione di strutturazione del tempo Berne intende riferirsi all’insieme delle modalità che gli individui hanno a disposizione e mettono in atto sia per riempire le ore di veglia ed evitare la noia, sia, appunto, per dare e ricevere carezze. Gli individui avvertono il bisogno di strutturare il proprio tempo attraverso il loro comportamento sociale. Ad eccezione del caso limite dell’isolamento, le altre possibili modalità per strutturare il tempo, vale a dire, rituali, passatempi, attività, giochi e intimità, rappresentano, secondo Berne, l’intero spettro di opzioni comunicative di cui gli individui dispongono quando decidono di entrare in relazione gli uni con gli altri. Ogni tipologia di interazione strutturata offre una certa “dose” di carezze. L’intimità rappresenta “la sola risposta davvero soddisfacente alla fame di stimolo, riconoscimento e struttura” (Berne, 1964, 20).
Quali sono le modalità utilizzabili in classe? Quelle su cui puntare sono sicuramente le attività, i lavori con un obiettivo definito, siano esse individuali o di gruppo. Usare metodologie didattiche attive, come il Cooperative Learning, è una strategia efficace.
Le altre modalità di strutturazione del tempo vengono attivate, che noi lo vogliamo o no, nel momento in cui lasciamo che il tempo venga strutturato dalla classe, cioè quando si attivano le cosiddette dinamiche di gruppo.

Alcuni suggerimenti per classi sfidanti

Cominciamo con questo post una serie di riflessioni e suggerimenti operativi per tenere conto dei bisogni di stimolo, riconoscimento e struttura. Partiamo dall’elemento più semplice: l’ambiente in cui lavoriamo.

Quando organizzo i corsi di formazione, siano essi di 25 ore o di sole 2-3 ore, sono sempre focalizzata prima di tutto sugli elementi di contesto, fisico e temporale, che hanno a che fare con tutti e tre i bisogni sopra elencati. Trascurarli può fare la differenza tra successo e fallimento.
Soprattutto se la classe è particolarmente problematica, devo prima di tutto ripensare ad elementi di base e farmi alcune domande che esplicito di seguito.

QUANDO SI SVOLGE L’ATTIVITÀ?

Conoscere i vincoli in cui si inserisce la proposta formativa, definire giorni ed orari che siano minimamente integrati con il resto degli impegni del gruppo può aiutare ad evitare pesanti disfatte. Se lavoriamo nel tardo pomeriggio, allora meglio contemplare una pausa degna, o negoziare sul chiudere qualche minuto prima come riconoscimento dell’impegno nelle attività. In caso di giornate molto piene, prevedere una varietà di tecniche formative può alleggerire il compito.

Per te che lavori di mattina può essere utile chiederti:
Dove si colloca la mia ora di lezione?
Cosa c’è prima e dopo?
Come posso favorire il successo del gruppo?

DOVE SI SVOLGE L’ATTIVITÀ?

Gli spazi del lavoro sono bene illuminati o ci sono aree con lampadine fulminate? Sembra una sciocchezza di poco conto, eppure un dopo pranzo con luce fioca e magari finestre bloccate può portare al tracollo! Ci sono sedie mobili e tavoli a sufficienza per i lavori di gruppo? La classe ha le risorse necessarie a lavorare agevolmente?

Per te le domande potrebbero diventare:
Come posso usare al meglio lo spazio fisico della classe?
Come la vicinanza fisica può sostenere o ostacolare il loro impegno?
Nel caso di lavori di gruppo, la questione è essenziale: come organizzo i gruppi, chi sta con chi, dove sono fisicamente collocati e per quanto tempo?

QUANTO TEMPO STARÒ CON LORO?

Come formatrice incontro gruppi che accompagno per percorsi brevi (da 2 ore per arrivare al massimo alle 25 ore di un’unità formativa). Ciò comporta il non avere molto tempo per conoscerli individualmente e individuare le loro caratteristiche. Se questo è un grande svantaggio rispetto all’esigenza di diagnosticare le dinamiche di gruppo, la sfida del poco tempo disponibile mi ha dato l’occasione di individuare strategie particolarmente efficaci per costruire velocemente una relazione didattica significativa! E l’uso delle metodologie didattiche attive come il Cooperative Learning diventa una chiave di successo.

Per te che li accompagni per lunghi periodi, riflettere in termini di tempo disponibile può aiutarti a trovare chiavi di intervento con obiettivi sostenibili a fronte di un piano di lungo termine.

Se ti interessa approfondire il cooperative learning, perché non considerare “Cooperative learning: istruzioni per l’uso”, il nostro volume disponibile anche in ebook e con webinar illustrativo.

PERCHÉ E COME SONO ARRIVATI AL CORSO?

Non parlo del bus o del Suv che li ha portati fisicamente a scuola, ma della loro motivazione all’apprendimento. Sì, perché una motivazione personale aiuta enormemente, ma non è mai scontata. Molto spesso la classe si muove proprio su quei bisogni sopra elencati più che sulla razionalità e ragionevolezza. Questo può favorire l’attivarsi di giochi psicologici tra loro e con te. Il braccio di ferro tra il docente e la classe ne è un esempio tipico!

Intanto è importante porsi alcuni quesiti:
Perché i tuoi alunni dovrebbero ascoltarti e darti retta?
Quale è la loro ragione personale ad essere in classe, oltre all’obbligo scolastico?
Quali bisogni esprimono consapevolmente o meno nell’interazione con te?

Esplorare questi aspetti può favorire un loro coinvolgimento attivo.

Personalmente ho scelto tanti anni fa di focalizzare la mia attenzione su ciò che dipende prima di tutto da me, cioè il MIO modo di lavorare, di progettare l’attività didattica e poi il mio modo di relazionarmi con la classe.
La classe risponde a me, che sono parte attiva di un insieme di elementi che interagiscono e si influenzano reciprocamente (Hertz-Lazarowitz, 1994).

 

Se vuoi continuare a capire meglio, guarda questi corsi:

Psicologia della classe complessa: strumenti e tecniche per governare il gruppo classe
Dinamiche di classe, inclusione e insegnamento – corso online

BIBLIOGRAFIA

Berne, E. (1964). Games people play. New York: Grove Press (Tr. it.: A che gioco giochiamo. Milano: Bompiani, 1967).
HERTZ-LAZAROWITZ, R. (1994), Understanding interactive behaviors: looking at six mirrors of the classroom. In R. HERTZ-LAZAROWITZ, e N. MILLER (a cura di), Interaction in cooperative groups. The theoretical anatomy of group learning, New York, Cambridge University Press.

Articolo precedente
Pubblicazione del primo volume Scintille.it
Articolo successivo
La valutazione formativa: valutare per apprendere ed insegnare

Formazione