BURNOUT: DALLE CAUSE AI RIMEDI. L’importanza dell’ascolto e del prendersi cura di sé (2^ parte)

Da soli si cammina veloci,
ma insieme si va lontano
(proverbio africano)

Dopo aver osservato da vicino il burnout (cfr. leggi articolo precedente), presenteremo le cause principali assieme alle conseguenze e ai possibili rimedi per fronteggiare efficacemente tale sindrome.

Parafrasando un proverbio africano ed in linea con l’importanza dello sviluppo di relazioni presente nel Cooperative Learning -, “da soli si cammina veloci, ma insieme si va lontano”. Ci sono infatti nuove strade percorribili per voltare pagina, per scegliere di prendersi cura di sé, di rigenerarsi e di ricaricarsi dopo un momento difficile perché prolungato e prosciugante le energie e le risorse. Sono strade in cui tale obiettivo può essere raggiunto più facilmente attraverso il sostegno reciproco.

L’emergenza sanitaria del Covid-19 ha fatto mobilitare l’attenzione di molti – politici, scienziati, media, cittadini – sulla tutela del benessere psicofisico – riconosciuto come bene prezioso – nelle “helping professions”, tutte quelle professioni d’aiuto come medico, infermiere, psicologo ma anche insegnante ed operatore sociale .

Si è capito cioè che pianificare, mettere in atto e monitorare politiche e strategie di prevenzione della salute mentale é doveroso perché facilita la possibilità di trovare il giusto spazio e il giusto tempo per rigenerarsi.

Per arrivare a questo risultato il primo passaggio necessario per fronteggiare questo fenomeno è comprenderne le origini.

QUALI SONO LE CAUSE?

1. Eccessiva idealizzazione della professione precedente all’entrata nell’organizzazione. Ancora oggi le professioni di aiuto scontano il peccato di un’ideologia assistenziale, per la quale il lavoro sociale viene visto come una vocazione, una missione, un dovere, un atto di solidarietà.
2. Lo svolgimento di una mansione frustrante o inadeguata alle aspettative. Nonostante ci siano un’immagine sociale dequalificata o addirittura negativa, basse remunerazioni e scarse possibilità di carriera sono professioni ambite. Chi sceglie questa professione ha un forte bisogno di aiutare, garantisce una buona immagine di sé e si pone come “grande madre” accogliente e “grande padre” onnipotente.
3. L’organizzazione del lavoro disfunzionale o patologica. Non esiste equilibrio tra le richieste rivolte ad un soggetto e le risorse di cui il soggetto dispone, allo stesso tempo può generarsi stress anche quando le risorse superano notevolmente le richieste (McGrath, 1970): il lavoratore prova una sensazione di frustrazione e disagio in quanto non si sente utilizzato al meglio) (Maslach, 1977). Oggigiorno sono proprio gli insegnanti tra i primi lavoratori che denunciano questa sindrome, provocata da condizioni stressogene intense e protratte nel tempo (Maslach, Leiter, 2000). Quest’ultimo aspetto in particolare è ciò che hanno vissuto gli insegnanti durante questi ultimi mesi: un disequilibrio tra le richieste/esigenze lavorative che hanno assunto una tendenza ingravescente e le risorse personali e istituzionali disponibili sempre più scarseggianti.

QUANTE E QUALI SONO LE FASI DELL’INSORGENZA DELLA SINDROME DI BURNOUT?

1. La prima fase – entusiasmo idealistico – è caratterizzata dalle motivazioni consapevoli (migliorare il mondo e se stessi, sicurezza di impiego, svolgere un lavoro meno manuale e di maggiore prestigio) e motivazioni inconsce (desiderio di approfondire la conoscenza di sé e di esercitare una forma di potere o di controllo sugli altri); tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di “onnipotenza”, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato, di apprezzamento, di miglioramento del proprio status e altre ancora;
2. nella seconda fase – stagnazione – il lavoratore continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Si passa così da un super-investimento iniziale a un graduale disimpegno;
3. la fase più critica è la terza – frustrazione. Il pensiero dominante è di non essere più in grado di aiutare alcuno, con profonda sensazione di inutilità e di non rispondenza ai reali bisogni dell’utenza. La persona può assumere atteggiamenti aggressivi (verso se stesso o gli altri) e spesso mette in atto comportamenti di fuga, quali allontanamenti ingiustificati dal posto di lavoro, pause prolungate, frequenti assenze per malattia.
4. il graduale disimpegno emozionale conseguente alla frustrazione, con passaggio dalla empatia alla apatia, costituisce la quarta fase, durante la quale spesso si assiste a una vera e propria morte professionale (Maslach, 1992).

La persona colpita da burnout manifesta:

• sintomi aspecifici quali irrequietezza, senso di stanchezza ed esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia,
• sintomi somatici ad esempio tachicardia, cefalee, nausea,
• sintomi psicologici come depressione, bassa stima di sé, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia e risentimento, alta resistenza ad andare al lavoro ogni giorno, indifferenza, negativismo, isolamento, sensazione di immobilismo, sospetto e paranoia, rigidità di pensiero e resistenza al cambiamento, difficoltà nelle relazioni con gli utenti, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti degli utenti.

I vari sintomi e gli effetti negativi spesso vengono sottovalutati da un punto di vista clinico e, con il passare del tempo, possono trasformarsi in disagi psicologici importanti.

Ecco di seguito alcune riflessioni e strategie utili per fronteggiarlo in modo efficace.

Ѐ POSSIBILE PREVENIRE IL BURNOUT?

La risposta è sì. Ad esempio, sviluppando strategie di coinvolgimento e partecipazione alla propria attività lavorativa, dando così la possibilità di sentirsi parte attiva del proprio processo lavorativo, oppure favorendo il lavoro di gruppo, dando la possibilità di crescere con feedback precisi e costruttivi, contando sul sostegno e sul confronto con i colleghi, stimolando la capacità di strutturare in maniera efficace tempo e risorse, offrendo la possibilità di usufruire spazi dedicati alla condivisione delle proprie difficoltà e delle proprie idee, incoraggiando lo sviluppo di gruppi di sostegno e/o sistemi di scambio di risorse.

Il burnout può colpire l’efficienza dei singoli professionisti anche ad altri livelli, dato che queste professioni sono spesso inserite in un contesto di gruppo. I rischi che hanno un’evidenza maggiore riguardano il docente coinvolto in prima persona, che paga in termini personali, anche con gravi somatizzazioni. Esistono altri due livelli: uno riguarda gli utenti, tutti coloro che usufruiscono del servizio, che vivono una sfiducia nel sistema stesso (ad esempio in quello scolastico). Un altro e più ampio livello riguarda la comunità in generale. Il burnout infatti non è da considerarsi solamente problema della persona – ritenuta incapace, debole o di scarso impegno – ma “problema professionale” causato prevalentemente da fattori strutturali-organizzativi. Il contesto interpersonale nel quale le persone lavorano è determinante e il cattivo funzionamento delle organizzazioni costituisce il principale motivo del rapido diffondersi di tale sindrome (Maslach, Leiter, 2000).

IL TEAM O CONSIGLIO DI CLASSE: PUNTI DI FORZA E DI CRESCITA.

Il malessere del singolo può diventare malessere dell’intera squadra di lavoro (ad esempio assenteismo, turn over, conflitti interpersonali). Il Team o Consiglio di classe: fornisce ai docenti uno spazio di appartenenza e confronto, di supporto emotivo e di controllo: esso è un contenitore delle dimensioni affettivo-razionali che sono implicate nel lavoro educativo. Il Team o Consiglio di classe: funziona se si avvale anch’esso di un sistema formativo di supporto e aggiornamento continui. Una maggiore partecipazione è associata ad una minore tensione di ruolo, maggiore soddisfazione per il lavoro, migliore comunicazione e maggiore chiarezza del ruolo (Cherniss, 1986). Inoltre, se un docente non riceve frequenti feedback da colleghi e dirigente e non è costantemente informato della situazione lavorativa, vivrà la sua attività come noiosa routine priva di significato. Purtroppo lo staff, il gruppo, la squadra di lavoro riceve informazioni e feedback quasi esclusivamente sotto forma di critiche quando qualcosa non ha funzionato; questa modalità non fa altro che aggiungere stress. Il Team o Consiglio di classe: fornisce all’insegnante uno spazio di appartenenza e confronto, di supporto emotivo e di controllo: esso è un contenitore delle dimensioni affettivo-razionali che sono implicate nel lavoro educativo (Contessa, 1995).

UNO SGUARDO PIÙ AMPIO: LA FUNZIONE DEL CLIMA.

La scuola produce benessere per i propri utenti solo attraverso il benessere professionisti degli insegnanti e del personale ATA che vi opera. Anche i sistemi hanno uno stato d’animo che la psicologia chiama “clima” (Avallone, 2003). Il controllo e l’azione di miglioramento del clima organizzativo è dunque una delle possibili leve di prevenzione del burnout, che se non viene contrastato può diventare un processo auto-rinforzante. Lo scoraggiamento, il ritirarsi o l’irrigidirsi porteranno a maggiori difficoltà nell’adempimento del lavoro e questo fallimento condurrà ad ulteriore scoraggiamento, che condurrà ad un successivo fallimento che porterà a vivere un forte senso di impotenza. E questo si può ripercuotere sulla qualità del servizio.

Perciò un intervento di prevenzione del burnout implicitamente è un intervento di promozione del benessere psico-fisico degli operatori, che si riflette su coloro che usufruiscono del servizio (clienti, pazienti, studenti) e sull’intera organizzazione perché fa leva sul miglioramento della qualità di vita collettiva. Gli studenti possono essere così inseriti in un ambiente più favorevole e sereno, dove aumenta la comprensione e l’aderenza al progetto educativo, e di conseguenza si assiste ad una maggiore motivazione ai percorsi di insegnamento/apprendimento. Da qui, l’importanza di lavorare in modo costante sull’ascolto dell’insegnante a 360 gradi: ascolto di sé, come fonte preziosa di crescita personale, e sviluppo delle sue capacità di ascolto dello studente o del genitore come strumento per poter crescere relazioni sane e costruttive perché parlare è un bisogno, ascoltare è un’arte.

Bibliografia

Avallone, F., (2003). La convivenza nelle organizzazioni. Delega, benessere, valutazione. Quaderni di Psicologia del lavoro, volume 10. Milano: Guerini Studio.
Cherniss, C., (1986). La sindrome del burnout. Lo stress lavorativo degli operatori dei servizi socio sanitari. Torino: CST Centro Scientifico.
Contessa, G., (1982). L’operatore sociale cortocircuitato: la “Burningout syndrome” in Italia. Animazione sociale, 42-43.
Contessa, G. (1995). La prevenzione del burnout. Il Vaso di Pandora, suppl. vol. III, n. 3 dal sito http://www.psicopolis.com/burnout/Pandorafatto.htm
Maslach, C.; Pines, A. (1977). The Burnout Syndrome in the Daycare Setting. Child Care Quarterly, 62, 100-113.
Maslach, C., (1992). La sindrome del burnout. Il prezzo dell’aiuto agli altri. Firenze: Cittadella Editrice.
Maslach, C.; Leiter, M., P., (2000). Burnout e organizzazione. Modificare i fattori strutturali della demotivazione al lavoro. Milano: Feltrinelli.

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